Ritratto

Tra Arte e Fotografia

“Se vi dicessi semplicità, spontaneità, naturalezza, velocità a cosa pensereste?
Ne sono certa, sapete già a cosa sto pensando, al ritratto.

Non sarà facile avventurarmi in questo vasto e articolato genere, per questo mi farò aiutare da due discipline affascinanti e che da sempre si intrecciano e si evolvono l’una dall’altra, l’arte e la fotografia.”

<< Domanda semplice: cos’è per voi il ritratto? >>

Secondo il mio punto di vista, il ritratto non è soltanto la capacità di saper costruire un buon scatto, è molto di più.

È il tentativo di raccontare una storia, catturare le emozioni, vedere al di là degli occhi, raccogliere l’essenza di chi ci sta di fronte attraverso un singolo fotogramma.

Come diceva Salvatore nel suo articolo precedente, sui colori del ritratto, “ma se voleste dare un’anima alla foto? Renderla “diversa”. Allora dovreste prendere in mano la situazione e rischiare.

Fare ottime foto ritratto è facile, dargli un’anima è più complesso”. Ed è proprio in questo che risiede la magia del ritratto. Un buon fotografo non si limita ad “accontentare” il soggetto fotografato rendendolo “bello e affascinante”.

Occorre saperlo caricare di una veste diversa, interessante, nuova, unica. Farsi portavoce della sua storia, del suo vissuto, di ciò che veramente lo ha reso la persona che è.

Cosa rende quindi speciale un ritratto?

“Potrebbe sembrare banale, ma tutto dipende dal senso di coinvolgimento, intimità e dalla capacità di creare un legame tra l’osservatore e il soggetto ritratto.

Lo stato d’animo del soggetto in quel preciso attimo, proprio quando stiamo per fare “click”, potrebbe influenzare la buona riuscita dello scatto. Gioca un ruolo fondamentale l’intuizione del fotografo, la sua capacità di leggere la situazione e l’empatia che crea con il protagonista.

È proprio in questo genere di fotografia, più che in altri, che il saper individuare il momento perfetto, in cui il soggetto abbassa le sue “difese”, è cruciale per scattare.

Suscitare, provocare e catturare l’espressione  è la chiave di tutto

Nell’arte, inizialmente il ritratto è stato simbolo di immortalità e opposizione all’avanzare del tempo, rappresentazione fedele e dettagliata del soggetto raffigurato.

Il ritratto nell’accezione moderna arriva nel ‘400 con l’Umanesimo e la visione antropocentrica del mondo, l’uomo veste una consapevolezza diversa e l’arte diventa uno strumento di espressione del proprio io interiore. Artisti quali Leonardo Da Vinci o Jan Van Eyck ne sono testimoni, esaltano con le loro pennellate la singolarità di ogni individuo raffigurato. L’aspetto esteriore ora si carica di una responsabilità nuova, i tratti del viso possono essere diretta manifestazione dei moti dell’animo.

Dallo stile neoclassico del ‘700 dalle tonalità chiare e linee pulite tipiche dell’arte greca, si arriva al ritratto “contemporaneo” dell’800, in cui le sperimentazioni di luci ed effetti cromatici si fanno espressione del subconscio e della visione personale dell’artista.

Questa nuova libertà non si rispecchia in un’unica forma di pensiero, i ritratti si diversificano nelle pennellate “dolci” di Renoir, nello stile “romantico” di Delacroix e nella cruda “realtà” di Courbet.

Fino ad arrivare all’esasperazione dell’Espressionismo, in cui viene scardinata ogni regola, basti pensare alla deformazione dei volti di Munch e alla drammatica devastazione di Van Gogh.

Ultimo tassello di questo complicato puzzle è la visione “astratta” vista con la lente della psicologia. Nel ‘900, con artisti quali Modigliani, Picasso, Mirò, il ritratto diventa espressione dell’io più profondo, del “sé interiore”.

L’artista, alla ricerca spasmodica del proprio inconscio e della propria interiorità, non sa più delineare un chiaro confine tra sé stesso e il soggetto che ha di fronte.

<< Nell’arte, il ritratto è stato oggetto di un percorso non sempre perfettamente lineare, in esso fisiognomica, psicologia e psicanalisi trovano pari dignità. >>

Facendo un piccolo passo indietro e tornando alla metà dell’800, un’importante scoperta nel mondo della ritrattistica è la tecnica fotografica.

La fotografia apre nuovi scenari, il ritratto finalmente ha una nuova dimensione, un nuovo punto di vista. Attraverso l’obbiettivo di una macchina fotografica, il ritratto diventa confronto e interazione, volontà di ricondurre in schemi ben precisi anche quella realtà che non può essere percepita.

L’accesso al ritratto non è più privilegio di pochi, la nuova tecnica permette a tutti di farsi immortalare a costi decisamente ridotti e in tempi molto più brevi (i soggetti ritratti da Cézanne si mettevano in posa anche 100 volte!).

L’immagine fotografica, a differenza dell’immagine dipinta, raffigura un soggetto in un modo del tutto diverso, sospeso tra passato e presente, tra realismo ed evanescenza. L’oggettività della macchina fotografica si intreccia alla soggettività dell’occhio umano del fotografo.

La scoperta dei fratelli Daguerre permette di dare una nuova interpretazione al mondo, fatta di emozioni, sensazioni, unioni, interpretazioni, azioni, tensioni.

Ogni fotografia è l’autoritratto del fotografo

In essa non c’è soltanto il desiderio di proiezione e identificazione del soggetto raffigurato, un occhio attento vede lo stato d’animo del fotografo e la sua capacità di entrare in contatto anche con lo spettatore più distratto. Una fotografia venuta male è sintomo che il fotografo non ha saputo creare un contatto con il suo soggetto.

La fotografia di ritratto non è solo raffigurazione, dedicata alla ricerca della verosimiglianza, ma è interpretazione.

Al momento stesso dello scatto, qualsiasi traccia della realtà si dissolve, tutto è “trasfigurato” dal filtraggio e ogni aspetto è ora visione del fotografo.

<< Fotografare è desiderio di consapevolezza, sincerità, autonomia, libertà, espressione. >>

Anche se la fotografia deve molto alla pittura, sviluppa sin da subito un suo percorso visivo grazie alla continua evoluzione delle tecniche fotografiche e del punto di vista del fotografo.

Ogni foto si fa carico di uno spettro infinito di significativi, valido mezzo di comunicazione e affermazione sociale.

Fotografare è documentare, la Germania nazista di August Sander lo sa bene.

Fotografare è sperimentare, Man Ray e l’alter ego di Marcel Duchamp ne sono testimonianza.

Fotografare è comunicare, per Paul Strand le immagini devono essere dirette e senza inganno.

Fotografare è sensibilizzare, gli immigrati newyorkesi di Lewis Hine sono tra i principali protagonisti.

Fotografare è interpretare, la nuova “normalità” di Diane Arbus ne è massima espressione.

Fotografare è sconvolgere, Nan Goldin e la “sua tribù” promuovo una nuova identità e libertà sessuale.

Fotografare è emozionare, Steve McCurry ha raggiunto ogni angolo del mondo con la carica emotiva degli occhi di Sharbat Gula.

Fotografare è interrogarsi, le opere senza titolo della Sherman danno piena autonomia all’immaginazione dello spettatore.

Una buona fotografia, più che dare risposte, dovrebbe porre le giuste domande.

Non c’è una domanda ben fatta e una risposta corretta, c’è solo curiosità e voglia di chiedere, di conoscere, di andare oltre. Ed è proprio questa consapevolezza che fa del ritratto uno strumento potente di spontaneità e intuizione.

A CURA DI

PALMIRA PALAMARA