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DWYANE WADE

La volta in cui ebbe il diritto di vivere ad Asgard

Gara 3: 
LA FUGA DAL REGNO DI HEL

“Non c’è più una partita da raccontare.
È inutile che ve la raccontiamo.”


No infatti. Una partita finita, sepolta. Una serie segnata.

Questa era la sensazione che si respirava e quando Flavio tranquillo disse quella frase, tutto il popolo italiano che si alzò quella notte a vedere in diretta la gara concordava con “The Voice”.

Dal semplice appassionato a chi mastica di basket da decenni per lavoro; diverse tipologie di persone, un’unica opinione comune.

Dallas vincerà gara e serie. Miami proverà ad evitare il cappotto.

8 minuti e 34 secondi
alla fine del 4°quarto.

83 a 71 per Dallas.

Harris che appoggia facilmente mentre la difesa degli Heat si guarda intorno, quasi a cercare un’improbabile salvezza.

Il regno dei morti tra le fila di Miami. Zombie in campo, anime disperse in panchina.

Tra le anime disperse c’è Dwyane, asciugamano sulla testa e sguardo perso nel vuoto. Perso come la sua anima, come le anime dei suoi compagni.

Sapete, nel basket e nello sport in generale, tendi a riconoscere il momento in cui tutto cambia; il momento in cui il fuoriclasse di turno accelera, entra “in the zone”.

Questa volta quel momento non viene percepito. Dwyane è solo un giovane promettente, una futura star, nessuno si aspetta nulla da lui. Sarà una superstar affermata, ma ci vorrà tempo e nessuno pretende che diventi un eroe.

Un disperso come gli altri nel Regno di Hel, solo che la sua anima è ancora viva. Nessuno la percepisce, ma è ancora viva.

6 minuti e 47 secondi
Alla fine del 4°Quarto

87 a 76 per Dallas.

Via l’asciugamano, si torna in campo. 6 minuti e 47 secondi di dovere.

Il dovere di finire la partita e pensare alla prossima stagione.

Il pensiero di chi assiste è questo; bisogna finire, degnamente, la partita.
Non è una questione di punteggio. 11 punti in quasi 7 minuti sono recuperabili.

È una questione di linguaggio del corpo e quello di Miami è pessimo.

Il corpo, come la mente, parla una lingua morta.

6 minuti e 47 secondi di attesa. Le porte per il regno di Hel, il regno dei morti per la mitologia norrena, hanno bisogno di 6 minuti e 47 per aprirsi completamente. La morte cestistica attende Miami.

A 6 minuti e 15 però, l’anomalia.

Palla a Wade, fronteggia Dirk Nowitzki, arresto a due tempi, step back e “separation of elevation”.

Due appoggiati alla tabella d’autore. Un canestro che sa di vita ma nessuno lo percepisce come tale.

Troppo più forti gli altri. Il basket è uno sport di squadra, da soli non si vince.

Vero. Però un singolo può emotivamente cambiare la partita.

Due punti subito. Gioco da tre punti, con penetrazione di forza, quando tutta la difesa collassa su di lui.

Tripla di Walker su penetrazione di Wade, tripla di Wade stesso.

Le porte del regno di Hel si aprono sempre più, ma Dwayne si allontana dall’entrata.

Cestisticamente adesso, si sente un fievole battito.

Di chi guarda, per l’emozione, di chi tifa, per l’agitazione e di chi gioca, per capire se vale ancora la pena lottare.

3 minuti e 37 secondi
Alla fine del 4°Quarto

91 a 86 per Dallas.

E due subito di Wade, perché lui non ha tempo.

Le porte del Regno sono ancora lì, intente ad aprirsi ma l’aria che si respira adesso è diversa, rarefatta, nonostante le spiagge di Miami siano lì ad un passo.

Raccontarvi ogni canestro che ha portato le squadre ai secondi finali non avrebbe senso.

Sappiate solo che si arriverà punto a punto fino alla fine, fino a 40 secondi dalla fine della partita.

Ma questo importa relativamente a noi; quello che interessa e far comprendere come Mark, inteso come Cuban, proprietario dei Dallas Mavericks, si guardasse intorno nonostante i pochi punti di vantaggio ancora.

Come nessun giocatore di Dallas riuscisse a tenere il primo passo del numero 3, che aveva voglia di non entrare nel Regno di Hel, di scappare, manco fosse un Dio Norreno.
E forse in quegli istanti lo è stato.

Mi ha sempre dato l’impressione che, una volta uscito dalla panchina, avesse deciso di dar fondo a tutte le sue energie, aspettando che finissero.

Il problema, per gli altri, è che le energie non finiscono e il tempo passa. E siamo lì. A 10 secondi dalla fine. Punteggio in parità.

09.3 secondi
Alla fine del 4°Quarto

95 pari

Palla a Miami e so cosa state immaginando.

Wade che segna, come nei più classici dei film di Hollywood, all’ultimo secondo.
No, non siamo in California, siamo a Miami e il basket, come ogni sport, è fatto di tante piccole cose. Puoi essere determinante in tanti modi, non segnando il canestro o il gol decisivo, ma facendo reagire i compagni.

E se in squadra hai Payton, che non aveva ancora segnato in tutta la partita, sai già che quel canestro che conta lo segna.

Perché se vedi il tuo capitano scappare dal Regno di Hel, giocoforza lo segui.

95 a 97, ma non è finita qui. Nessuno sport valorizza i decimi di secondo come il basket.

Quindi fallo su Nowitzki, per pareggiare. Ne segna uno su due. 96 a 97 e fallo su Wade, che manco a dirlo prende il rimbalzo.

Wade segna il primo e sbaglia volutamente il secondo per far passare quel secondo e 4 decimi che mancano per la fine della partita.

Il rimbalzo però viene catturato da Dallas e chiama timeout.

1 secondo alla fine.
98 a 96 Miami.

Un secondo alla fine. Un secondo infinito che merita uno spazio tutto suo.

I secondi nel basket contano. I decimi di secondo ancora di più

Come ho già detto, il momento in cui Wade accelera non viene percepito da nessuno ma l’istante in cui la serie, già virtualmente decisa, cambia lo si avverte immediatamente. Chiaro, limpido.

E no, non si tratta di un canestro di Wade, ma di una giocata difensiva. Quella che porta via Miami dal Regno di Hel. Quella con cui ruba il Bifrost e prova ad entrare ad Asgard.

Una stoppata, saltando più in alto di tutti.

“Separation on elevation” per il primo canestro.

Separazione dal terreno per l’ultima stoppata. Quella decisiva.

Alla fine saranno 42 punti e 13 rimbalzi. E una stoppata con peso specifico fuori scala.

Le dichiarazioni di post partita di Dallas sono di non preoccupazione. Avevano la partita in pugno e, fuori casa, hanno perso. Capita.

Wade ha dato tutto quello che aveva, e mancano almeno altre 3 gare per finire la serie a favore di Miami. Almeno.

Umanamente impossibile tenere il ritmo di questi ultimi 9 minuti per altre 3 partite.

Già, umanamente impossibile.

Ma Wade in quei 9 minuti cosa è stato esattamente?

Cosa mai può essere successo in quei nove minuti da preoccupare una squadra che fino a quel momento si era dimostrata più forte e non di poco?

È successo che il mondo si è fermato un attimo, giusto per comprendere l’accaduto.

È successo che l’anima di Wade è viva e il Regno di Hel non accetta l’anima di un essere vivente.

Men che meno l’anima chi di umano ha ben poco. Almeno per quei 9 minuti.

È successo che Wade ha dimostrato non solo di poter fuggire dal Regno di Hel, ma di poter entrare anche ad Asgard, luogo proibito per gli esseri umani.

Luogo, cestisticamente parlando, dove le leggende del gioco vivono.

Ma per entrarci per davvero non bastano 9 minuti. Serve altro. Facciamo che di minuti ne servono almeno 144. Almeno altre 3 partite.

Ma questo è materiale per il prossimo articolo. Il viaggio verso Asgard è solo all’inizio.

To Be Continued…

A CURA DI

SALVATORE CARBONE

Sport e fotografia. Due categorie che condividono l’importanza  dell’attimo da catturare.

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